competenze genitoriali 26 Apr 2020

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disturbi / Psicologia Clinica

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Le capacità genitoriali in donne che sono state vittime di violenza

La violenza di genere si riferisce agli atti di violenza nei confronti delle donne e produce la formazione di schemi cognitivi non funzionali che hanno delle ripercussioni sui figli.

Uno stile familiare connotato da violenza di genere, influenza e modifica la vita dei figli, instaurandosi come una modalità relazionale pervasiva e prevaricante che influenza sia il pensiero chè il modo di relazionarsi del bambino, creando un apprendimento distorto riguardo le interazioni e le relazioni affettive ed interpersonali.

Le capacità genitoriali in donne che sono state vittime di violenza
La competenza genitoriale è un costrutto che può essere operazionalizzato tramite alcuni parametri relativi sia alle qualità personali, sia alle competenze relazionali e sociali. (Bornstein, 1991).

Con l’espressione competenze genitoriali ci si riferisce all’insieme delle capacità e attitudini del genitore che gli consentono di comprendere e di soddisfare i bisogni emotivi, affettivi e materiali che il bambino esprime durante la sua crescita.

Le capacità genitoriali in donne che sono state vittime di violenza
Bornstein (1995) suddivide le competenze genitoriali in quattro livelli: cioè l’accoglimento e la comprensione dei bisogni di tipo primario come quelli fisici ed alimentari; le modalità con cui i genitori organizzano e strutturano il mondo fisico dei figli; l’insieme dei comportamenti che i genitori compiono per consentire e facilitare la partecipazione emotiva dei figli nelle relazioni interpersonali; tutte quelle strategie che i genitori usano per stimolare i figli nel comprendere il proprio ambiente.

Visentini (2006) elenca otto funzioni genitoriali. La funzione protettiva, la funzione affettiva, la funzione regolativa genitoriale, la funzione normativa, la funzione predittiva, la funzione significante, la funzione rappresentativa e comunicativa, infine la funzione triadica, che fa riferimento alla capacità dei genitori di far entrare il figlio nella relazione genitoriale.

Guttentag e collaboratori (2006) affermano che uno stile parentale comprensivo sia caratterizzato dalla presenza della capacità di rispondere alle richieste dei figli e di mantenere un’attenzione focalizzata, di una ricchezza di linguaggio e di calore affettivo nei confronti dei figli. Questa tipologia di competenze potrebbero essere compromesse in caso di violenza di genere, in cui le carenze dei genitori possono manifestarsi lungo un continuo di gravità crescente, fino alla violazione dei diritti e della dignità del figlio.

La violenza comporta un nascere di schemi cognitivi disfunzionali, utili per la  sopravvivenza di chi riceve la violenza, ma che si ripercuotono sui figli. Uno stile familiare violento ha un’influenza sulla quotidianità dei figli, qualificandosi come una modalità relazionale pervasiva e prevaricante che influenza il pensiero e il modo di relazionarsi del bambino, provocando un apprendimento distorto riguardo le interazioni, le relazioni affettive ed interpersonali.

Questi aspetti sono particolarmente importanti per gli effetti dannosi nella costruzione delle capacità relazionali e sociali dei figli, in quanto influenzano intensamente le modalità di rapporto con i pari, nel riprodurre modalità aggressive e di sopraffazione o manifestando un’evidente incapacità nel gestire le relazioni. La violenza rivolta continuamente dall’uomo sulla donna costringe il figlio ad adattamenti difficili che comportano una condizione di forte disagio e sofferenza.

In queste condizioni aumenta la probabilità di sviluppare una sintomatologia di carattere post traumatico che non sempre viene riconosciuta precocemente. È importante evidenziare come spesso i figli sono coinvolti nelle forme di maltrattamento attuate alla madre e diventano a loro volta vittime di varie forme di maltrattamento, con le conseguenze conosciute nei soggetti in età evolutiva, ovvero l’acquisizione di schemi disfunzionali.

Le capacità genitoriali in donne che sono state vittime di violenza
La Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sui diritti umani di Vienna (1993) ha definito la violenza di genere come tutti gli atti di violenza contro il sesso femminile, che causano o sono suscettibili di causare alle donne danno o sofferenze fisiche, sessuali, psicologiche e che comprendono la minaccia di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica sia nella vita privata. E’
possibile individuare diverse tipologie di violenza:

-Violenza Fisica: riguarda una diversa tipologia di comportamenti lesivi nei confronti della donna. Questi comportamenti lesivi sono compiuti attraverso l’uso della forza e possono anche riguardare comportamenti di trascuratezza come la privazione del cibo, la privazione delle cure mediche oppure il sequestro della donna. Tali aggressioni possono condurre allo sviluppo di disturbi somatici, del sonno ed a traumi, reversibili e non.

Violenza Psicologica: si riferisce a qualsiasi forma di abuso e mancanza di rispetto che danneggia la dignità e l’autostima della persona. La violenza psicologica comprende quei comportamenti con l’obiettivo di esercitare un certo grado di potere e controllo sulla donna col fine ultimo di convincerla di essere priva di valore e capacità. La donna che subisce tale maltrattamento può iniziare a percepirsi come inadeguata e fragile, motivo per il quale sente di aver bisogno di una guida e di protezione per affrontare anche le più piccole difficoltà. Da qui si innesca un meccanismo di dipendenza verso l’aggressore, situazione che la porterà ad accettare passivamente ogni forma di abuso.

 -Violenza Sessuale: si verifica in qualsiasi atto sessuale agito contro la volontà della donna. La violenza sessuale, comprende lo stupro o il tentato stupro, lo sfruttamento e la molestia sessuale, la costrizione a pratiche sessuali umilianti, fino ad arrivare anche al controllo delle scelte riproduttive. Questo tipo di violenza viene spesso accettata dalla vittima poiché ha timore delle ripercussioni negative che comporterebbe un suo rifiuto. Inoltre questa condizione può provocare danni alla struttura di personalità della donna vittima, la quale, per far fronte alla realtà che è costretta a subire, può mettere in atto meccanismi di difesa che le permettono di sopravvivere ma che possono allo stesso tempo provocarle stati di ansia e depressione, arrivando addirittura alla dissociazione.

-Violenza Economica: fa riferimento a tutti quei comportamenti finalizzati a limitare e a controllare l’indipendenza economica della vittima. Con questo tipo di violenza l’aggressore stabilisce uno stato di dipendenza della donna, la quale rimane legata all’uomo e questo comporta per lui uno stato di tranquillità poiché la donna, non essendo più economicamente autonoma, difficilmente potrà abbandonarlo.

-Violenza Domestica: consiste in una violenza attuata da un uomo ad una donna con la quale condivide il tetto coniugale.

-Stalking: riguarda diversi atteggiamenti e comportamenti che colpiscono la donna, perseguitandola, generando in lei paura ed ansia, fino a compromettere lo svolgimento della normale vita giornaliera, con l’obiettivo di far sentire la vittima sempre controllata ed in stato di pericolo. Ciò causa nella vittima uno stato di tensione constante che le condiziona la vita e ne rovina l’autostima.

Le capacità genitoriali in donne che sono state vittime di violenza

– La modalità intermittente dell’abuso è inscritto nel ‘ciclo della violenza’. Esso è composto da tre fasi:

La prima fase – La crescita della tensione: la donna percepisce la crescente tensione e cerca di prevenire l’escalation della violenza concentrando totalmente la sua attenzione ed energie sull’uomo. Cerca di diminuire la tensione evitando qualsiasi tipologia di discussione col partner, di modificare il proprio comportamento per controllare e prevenire l’agire violento del partner.

La seconda fase – Il maltrattamento: comporta la presenza di attacchi di aggressioni e percosse. In questa fase, per sottolineare il proprio potere, l’uomo può agire violenza sessuale. L’aggressione da parte del partner porta la donna a provare un senso di tristezza e di impotenza.

La terza fase – “La luna di miele”: in questa fase vi sono altre due sotto-fasi. La prima fa riferimento alle ‘scuse’ e alle ‘attenzioni amorevoli’ dove l’uomo attraverso regali e/o promesse chiede scusa. La seconda sotto-fase si riferisce alla ‘eliminazione di responsabilità’, l’uomo attribuisce il suo comportamento a cause esterne, come il lavoro o situazione economica ed attribuisce alla donna la responsabilità di questo comportamento aggressivo. La terza fase, con l’avanzare della violenza, si riduce ulteriormente e rimangono soprattutto le prime due fasi, con conseguenze gravi sulla donna a tal punto di metterla in pericolo.

Le capacità genitoriali in donne che sono state vittime di violenza

La reazione mentale più pericolosa per la vittima è il sentirsi colpevole di quanto verificatosi e di non essere in grado di reagire. Durante l’avanzare della loro vita tali donne hanno maggiori probabilità di compiere tentati suicidi e consumare sostanze e/o alcol; inoltre, risultano essere più vulnerabili rispetto al rischio di subire ulteriori violenze (Romito, 2013). La donna può entrare in un ciclo di autocolpevolizzazione assumendosi la responsabilità di ciò che subisce.

Questa dinamica porta la vittima a sentirsi colpevole ed incapace, negandosi la capacità e la forza di riacquisire la propria dignità e la propria vita. In queste condizioni la vulnerabilità della donna aumenta e la porta a sperimentare sempre più paura e ad essere maggiormente  dipendente. Ciò renderà il rapporto ogni giorno più indissolubile, benché distruttivo (Diaz e Garofano 2013).

La donna vive una duplice situazione e pressione. Da una parte la donna si sente colpevole nei confronti dei figli, convincendosi di essere responsabile della violenza a cui i figli vanno incontro, accusandosi di essere stata lei a scegliere il padre sbagliato per i propri figli, considerandosi per tale motivo una cattiva madre.

Dall’altra parte alcune madri possono essere così travolte dalla violenza subita da non essere in grado di ‘guardare’ i propri figli, sono talmente assorbite dal loro conflitto che dimenticano i figli. Nei rapporti segnati dalla violenza viene minata l’autorità della madre che la subisce. La violenza domestica è intrinsecamente distruttiva nei confronti dell’autorità materna perché gli abusi verbali e le aggressioni fisiche del violento forniscono un esempio per i bambini che possono imitare i comportamenti sprezzanti e aggressivi verso la madre. Un
possibile risultato, confermato da molti studi, è che i figli di donne maltrattate mostrino una tendenza maggiore a disobbedire e ad usare la violenza contro le loro madri.

Alcune madri maltrattate riportano che il maltrattante spesso impedisce loro di consolare il figlio che piange o di assisterlo se spaventato o ferito e di fornire ai figli altri tipi di supporto fisico ed emotivo. Interferenze di questo tipo possono convincere i bambini che la loro madre non sia interessata a loro o che non sia affidabile. L’aggressore può rafforzare questi sentimenti cercando di condizionare i bambini tramite affermazioni squalificanti quali: ‘Tua madre non ti ama’ o ‘Mamma si preoccupa solo di se stessa’.

Nelle relazioni di violenza possono essere presenti delle ritorsioni contro la madre quando tenta di proteggere i bambini. Una madre può essere aggredita o intimidita se tenta di impedire che il maltrattante aggredisca i bambini e potrebbe essere punita se prova a difenderli. Per questo motivo con il tempo la madre potrebbe smettere di intervenire in favore dei suoi figli e questa dinamica può portare i bambini a percepire la loro madre come incurante nei confronti del maltrattamento del padre violento verso di loro.

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Le donne vittime di violenza spesso hanno difficoltà nell’impartire una adeguata educazione emotiva ai propri figli. I figli di donne maltrattate possono sviluppare una bassa autostima, sono costretti a crescere troppo in fretta, non ricevono un’educazione emotiva adeguata e quindi non riescono a gestire le emozioni proprie e altrui. Non sviluppano empatia, non riescono quindi a capire il dolore che possono provocare in un’altra persona: per questo i maschi sono poi più inclini, una volta cresciuti, a mettere in atto violenza nelle relazioni di coppia e le donne, purtroppo, a subirla.

A volte i bambini si sentono in colpa, incapaci dal momento che vengono sottoposti a modelli educativi confusi e disfunzionali. Nei bambini testimoni di violenza, tutti questi fattori potrebbero comportare un trauma affettivo e sviluppare un disturbo da stress post traumatico. Si potrebbe ipotizzare quindi che le capacità genitoriali delle donne vittime di violenza abbiano delle variazioni e delle modificazioni in ambito affettivo, relazionale e sociale ma la letteratura presente non indaga scientificamente tale aspetto e sarebbe opportuno condurre uno studio più approfondito.